Perché non balla?
Al mattino nostro figlio ha un'eruzione cutanea sul viso. Scarlattina. Sapevo che sarebbe successo. Proprio il giorno in cui ha la sua grande rappresentazione nel teatro della natività. Mia moglie è già al lavoro. Lo vesto e lo porto all'ambulatorio comune, dove per fortuna non c'è la vecchia strega, che porta in massa i bambini all'ospedale.
«Non è scarlattina», dice il medico, «è una reazione allergica. Ha un nuovo detersivo?». - «Forse l'emozione?», suggerisco. «Oggi recita nella rappresentazione della natività. Nel ruolo di Giuseppe». La mia voce si incrina alla fine della frase. Il pediatra prescrive a mio figlio un farmaco antiallergico e a me una grappa.
Probabilmente sono solo una persona che si dà da fare, oppure il mio grande momento arriva con la vecchiaia.
Sulla strada per l'asilo, mio figlio mi prende per mano: «Sai, papà, non voglio mai essere vecchio come te». Sono subito d'accordo con lui. A partire dai dodici anni circa, una persona diventa un cliché. Allora si comporta come nei film brutti, solo che il film brutto è la sua vita. Alcuni adulti cercano di scoprire il bambino che c'è in loro stessi e nel frattempo diventano un mega-cliché.
Mi piaceva essere un bambino? E' così che funziona. Ma mi piace essere un adulto? Anche questo è possibile. Probabilmente sono solo un tipo di persona che va d'accordo con tutti, oppure il mio momento migliore arriverà in vecchiaia.
Ripenso alla mia prima rappresentazione teatrale personale. Era la seconda elementare, la nostra scuola aveva messo in scena «La piccola strega». Ero vestita da patata e ballavo insieme a una carota in una scena musicale. Non ricordo la musica, ma ricordo quanto fossi infelice perché anch'io volevo essere una carota.
Se sono soprattutto le emozioni a rimanere nella memoria, cosa dirà mio figlio di oggi? «Non preoccuparti», gli dico mentre vado all'asilo. «Ci vorrà molto, molto tempo prima che tu abbia la mia stessa età».
Rash corrisponde a Giuseppe
Cinque ore dopo, sono seduto con mia moglie e gli altri genitori davanti al palco dove sta per iniziare la rappresentazione della natività. L'atmosfera è tesa. Mia suocera, che è venuta anche lei, sta filmando il palco vuoto. Le mie mani sono bagnate mentre i bambini entrano. Il viso di nostro figlio è rosso vivo. L'eruzione cutanea è decisamente peggiorata. Ma gli sta bene. Un'eruzione cutanea sta bene a Josef.
I bambini iniziano a ballare. Cosa resterà? E cosa è meglio che scompaia?
Mentre iniziano le prime frasi della storia, mio figlio inizia a tirare su il naso in modo estenuante. «Gli sta bene. Un'eruzione cutanea sta bene a Joseph», sussurro mentre mia suocera continua a filmare. Poi parte la musica. I bambini iniziano a ballare. Cosa resterà? Cosa sopravviverà a tutti questi anni e cosa scomparirà nelle profondità del tempo? E cosa forse scomparirà meglio?
«Perché non sta ballando?», chiede mia moglie, mentre nostro figlio rimane rigido come un bastone tra i pastori che saltano. «Giuseppe non sta ballando», spiego. «Giuseppe si sta mettendo le dita nel naso e ha un'eruzione cutanea». Viva il cliché, penso, salto in piedi e ballo, proprio come facevo quando ero una patata.